Nel mio lavoro, mi trovo quotidianamente a dover affrontare il disagio della “fame nervosa”, che è in realtà un termine improprio ormai di uso comune, ma che trova
nell’ “emotional eating” la definizione esatta.
Soprattutto donne, ma anche uomini, si ritrovano spesso dopo cena o nel tardo pomeriggio ad avvertire una “voglia di cibo irresistibile” che li porta a “spizzicare”, per lo più cibi dolci nelle donne e cibi grassi e salati negli uomini.
Purtroppo è un modo incongruo di reagire ad emozioni negative come tristezza, solitudine, rabbia, delusione, che spesso trova la sua origine nell’infanzia, quando la mamma di fronte al pianto incontrollato del proprio bimbo, invece di indagare la causa, correva a dargli il latte per calmarlo.
Si instaura così un circolo vizioso di emozioni negative che si autoalimenta. Il più delle volte i pazienti cercano di compensare con digiuni successivi o comunque restrizioni alimentari che, affamando, si risolvono quasi sempre in un fallimento.
Importante è invece evitare di ridurre in maniera drastica l’alimentazione ed impostare un regime che non sia rigidissimo e dove siano previsti degli snack gustosi ma bilanciati.
Bisogna inoltre ricordarsi di bere (perché spesso viene confuso il sintomo della sete con quello della fame) e appena arriva imperante il desiderio di mangiare, mandare giù un bel bicchierone di acqua.
Per contrastare la fame nervosa potrebbe risultare molto utile l’assunzione di integratori contenenti 5-idrossitriptofano (precursore della serotonina, un neurotrasmettitore coinvolto proprio nella regolazione dell’appetito e dell’umore), che si ritrova in piante come la Griffonia.
È importante sottolineare che di solito dopo mezz’ora l’impulso si attenua, quindi si possono suggerire dei metodi di distrazione come:
- lavarsi i denti
- masticare lentamente un’uvetta sultanina
- chiamare un’amica
- uscire a fare una passeggiata
- fare un bagno caldo
Vi sono inoltre delle tecniche antistress che molti studi hanno dimostrato essere efficaci, come la mindfulness, o attività come lo yoga e la meditazione.
Inoltre, compito dello specialista è, da una parte smorzare il senso di colpa che spesso provano i pazienti, dall’altra cercare di ascoltare empaticamente i disagi o semplicemente la noia che vi sono dietro, incoraggiando i propri pazienti a non demordere qualora dopo vari tentativi si ritrovino sempre davanti alla dispensa, e suggerendo interventi più incisivi qualora questo disagio si ripercuota in modo prepotente sulla vita del paziente.
A cura della Dott.ssa Nicoletta Cataldi, Medico specialista in Scienza dell’Alimentazione e Nutrizione